Legittimo impedimento, made in Italy ed arbitrato lavoro

’ultima campagna elettorale si è contraddistinta per l’imposizione della censura televisiva che ha di fatto impedito il dibattito e il confronto. E non solo: si è parlato poco di programmi e, soprattutto una parte politica, ha volutamente fatto confluire l’attenzione sul problema delle liste non ammesse, ha proclamato principi astratti e snobbato i reali problemi del paese. In questo clima di confusione la maggioranza è stata reticente nel divulgare la notizia dell’approvazione di leggi, di cui almeno tre necessitano una segnalazione.

• Il 10 marzo il “legittimo impedimento” è diventato legge: per il presidente del consiglio e per i ministri costituisce legittimo impedimento a comparire alle udienze penali, per tutti i processi in corso e per non oltre 18 mesi dalla data di entrata in vigore della norma, il concomitante esercizio di attività di governo. In tali ipotesi il giudice, su richiesta di parte, deve rinviare il processo. La Presidenza del consiglio attesterà se l’impedimento è continuativo, ma, comunque, il rinvio non potrà essere superiore ai sei mesi. Si tratta di un vero e proprio scudo giudiziario grazie al quale il Premier potrà eludere per 18 mesi tutti i processi che lo riguardano.

• Sempre il 10 marzo il Senato ha votato il ddl sulla tutela dei prodotti italiani. Si stabilisce l’obbligatorietà dell’etichettatura dei manufatti di pelletteria e calzaturieri che assicuri la tracciabilità di ogni fase. Il marchio made in italy potrà essere utilizzato sui beni finiti per i quali le fasi di lavorazione hanno avuto luogo prevalentemente nel territorio nazionale. E per “prevalentemente” s’intendono almeno due passaggi della lavorazione. Ne consegue che, per esempio, un paio di scarpe potrà essere considerato made in Italy anche se in Italia è stato solo assemblato e ridefinito.

• Il 3 marzo il Senato ha approvato la legge delega al Governo in materia di lavoro. Oggetto di polemica è l’art. 31, che introduce come modalità di composizione delle controversie di lavoro alternative al ricorso al giudice l’arbitrato: la lite viene cioè decisa da un soggetto che dovrebbe essere “terzo e imparziale”, che non è un magistrato e che può decidere secondo equità e non secondo legge. Di fatto l’imprenditore può chiedere al lavoratore all’atto dell’assunzione di firmare una clausola per delegare ad un arbitro la definizione di eventuali liti future. Un’intesa tra Governo , Cisl e Uil ne ha escluso l’applicabilità alle cause in materia di licenziamento: però, la norma non prevede tale deroga. E’ così evidente che i principi costituzionali e dello Statuto dei lavoratori possono essere bypassati. Il Presidente della Repubblica non ha firmato la legge e ha rimandato il testo alle Camere.

Maria Lucia Infantino, avvocato referente cittadino Italia dei valori